Another interview with La Repubblica, this time focused on my most recent book Sinostan and looking at Chinese foreign policy more broadly. Again in Italian so you will have to learn the beautiful language (or use Google Translate…).
di Enrico Franceschini
Parla l’esperto di sicurezza internazionale per il Royal United Services Institute di Londra (Rusi): “Pechino sta diventando un impero accidentale che minaccia di estendersi in tutta l’Eurasia, ma senza una visione su cosa fare e come affrontarne i problemi. Una prospettiva che, a partire dalla tensione di questi giorni intorno a Taiwan, è molto pericolosa per gli equilibri internazionali”

“La Cina sta diventando un impero accidentale che minaccia di estendersi in tutta l’Eurasia, ma senza una chiara strategia su cosa fare e come affrontarne i problemi. Una prospettiva che, a partire dalla tensione di questi giorni intorno a Taiwan, è molto pericolosa per gli equilibri internazionali”. È il monito che Raffaello Pantucci, esperto di sicurezza internazionale per il Royal United Services Institute di Londra (Rusi), lancia dalle pagine di Sinostan, il libro che ha da poco pubblicato in Inghilterra con la Oxford University Press, frutto di tre anni di studi sul campo in Estremo Oriente.
La tesi del suo saggio è che sta per nascere un impero cinese, Pantucci?
“La Cina sta diventando la potenza più influente in Asia centrale e in gran parte dell’Eurasia: una vasta zona del mondo, piena di problemi, su cui tuttavia Pechino non sembra avere una chiara strategia. È la potenza che cresce di più in quell’area, ma non si capisce che intenzioni abbia”.
Per questo lo definisce un impero “accidentale”?
“Sì, perché la Cina è diventata una potenza economica regionale e anzi continentale, ma senza una vera strategia, bensì con tanti piccoli progetti. Naturalmente in quella zona si muove anche la Russia, ma Mosca ha bisogno di Pechino per contrastare l’Occidente e dunque la chiave della situazione ce l’hanno in mano i cinesi”.
Le esercitazioni militari cinesi davanti a Taiwan sono la prova generale di un’espansione militare in tutto il continente?
“La situazione è diversa rispetto all’Asia centrale, perché Pechino considera Taiwan parte del proprio territorio. Ma paradossalmente su Taiwan esiste un equilibrio strategico, mantenuto finora dal confronto fra Cina e Stati Uniti, mentre in Asia centrale e in Eurasia questo equilibrio non c’è: la Cina è praticamente sola o comunque in grado di condizionare l’altra potenza regionale, la Russia, che ha bisogno del sostegno di Pechino. Dunque in un certo senso è una zona ancora più pericolosa”.
Secondo lei la leader del Congresso americano Nancy Pelosi ha fatto bene o male a visitare Taiwan?
“Non ho una risposta sicura a questa domanda. Da un lato non capisco le tempistiche di una visita simile, in un momento così delicato. Dall’altro però credo anch’io che l’autonomia e la democrazia di Taiwan vadano protette con fermezza”.
Il ventunesimo secolo sarà il secolo cinese, come il ventesimo è stato il secolo americano e il diciannovesimo quello britannico?
“Nonostante le apparenze, non credo che sarà il secolo cinese in modo analogo a come il secolo scorso è stato dominato dall’America e quello precedente dall’Impero britannico. Penso che sarà un secolo di potenze multilaterali in competizione tra loro: la Cina e la Russia da una parte, l’America e l’Europa dall’altra. E mi auguro che questa competizione produca stabilità anziché conflitti”.
Come dovrebbe reagire l’Occidente democratico all’espansionismo cinese?
“Secondo me l’Occidente dovrebbe aiutare i Paesi presi nel mezzo a non sentirsi costretti a scegliere con chi schierarsi. Dovrebbe aiutarli a crescere economicamente, a consolidarsi, mantenendo una propria libertà di scelta sul cammino da fare. O noi o loro può diventare un aut aut controproducente dal punto di vista occidentale”.
Quanto è serio il rischio di un conflitto militare tra Pechino e Washington, o addirittura di una Terza guerra mondiale che cominci proprio dalle tensioni su Taiwan?
“Per ora non sembra che nessuno dei due voglia veramente la guerra. Ma il punto preoccupante è che il presidente cinese Xi ha detto di volere risolvere la questione di Taiwan nell’arco del proprio periodo al potere, quindi nei prossimi cinque anni o entro i cinque successivi se verrà riconfermato nell’incarico. Abbiamo dunque una sorta di conto alla rovescia”.
Perché Taiwan è così importante per la Cina?
“Perché i cinesi considerano l’isola parte della Cina, ma anche per un’altra ragione: riprendere Taiwan è una dimostrazione di forza per Pechino. Se Taiwan diventasse più indipendente, altre regioni della Cina potrebbero spingere per fare altrettanto e l’intero paese rischierebbe di andare in pezzi, senza contare che la popolazione potrebbe concludere che il partito comunista ha mancato i suoi obiettivi”.
Una teoria di alcuni anni or sono era che la Cina, con la crescita del benessere economico e di una classe media, avrebbe imboccato gradualmente la via della democrazia: crede possibile che questo prima o poi avverrà?
“Penso che non si possa escludere una evoluzione positiva, una Cina più aperta nei rapporti con il resto del mondo e più tollerante sul fronte domestico, ma credo che sarebbe comunque una forma di democrazia diversa dalla nostra almeno per ancora molto tempo”.